Benvenuto caro lettore. Intanto ti fornisco qualche breve informazione sulla persona che si cela dietro le parole che stai per leggere. Mi chiamo Valentina e attualmente ho 16 anni. Abito a Reggio Emilia, una grigia e monotona città del Nord Italia che nessuno conosce. Qualche mese fa presi l'importante decisione di diventare un'exchange student, infatti trascorrerò 10 mesi in una bellissima cittadina vicino a Houston, Texas. Ho voluto aprire questo blog per avere a disposizione una valvola di sfogo, un luogo in cui poter essere quello che sono senza filtri. Detto questo buona lettura.

martedì 30 agosto 2016

Dopo?

Sento da ormai troppi giorni l'irrefrenabile impulso di scrivere, scrivere della più totale normalità che il ritorno dall'America ha apportato alla mia vita quotidiana.
Tutto sembra coperto da una nube di pesante monotonia che avverto giorno dopo giorno, la quale però porta con se una quantità indefinita di domande. Sono a casa, sul divano, ma che ne sarà del mio ultimo anno di Liceo Classico? Sono in ufficio intenta ad archiviare documenti, annoiata, ma che ne sarà della mia ginnastica? Sono in centro, seduta in bar a sorseggiare un caffè, ma cosa voglio fare una volta diplomata tra esattamente 10 mesi? 10 mesi, ho avuto la possibilità di constatarlo, non sono altro che un anno fulmineo, un'abbreviazione formale ad una quantità tonda. E allora come posso concentrare le mie risposte, che onestamente pretendevo di avere una volta rientrata a casa, in quello che sarà un 'tour de force' di versioni sbagliate ma abbonate ed interrogazioni poco premiate? Boh. Io dico costantemente 'boh' ogni qualvolta mi si presenti una domanda sul mio futuro accademico. Ma ecco che il mio pensiero continua a vagare, in questo pomeriggio di metà agosto, e si va a posare sulle teste di tutti quei 'novellini' che in questi giorni giorni stanno affrontando la partenza più sofferta ed aspettata della loro vita. Cari colleghi exchange, ancora in patria o già nel Nuovo Continente, siate voi stessi, conoscendo voi stessi. Questo è il consiglio che più mi verrebbe da donare; sono sicura però che con il passare dei giorni  arriverà lo stimolo di scrivere due righe del tutto indirizzate a tutti coloro che hanno preso la stessa strada da me già percorsa.

Con questo buon proposito di imminente aggiornamento, buona conclusione di estate a tutti, lettori e non.

Vale.

giovedì 21 luglio 2016

365.

Un anno fa mi arrivò una chiamata alle 10 di mattina che segnò la fine dell'età in cui il problema più grande ed insormontabile sembrava essere la scelta dell'abbigliamento per andare a ballare.
Un anno fa risposi alla chiamata con un filo di voce, era mia madre in lacrime.
Un anno fa mi venne urlato nelle orecchie il nome della mia destinazione, un nome che allora suonava indifferentemente come una distesa di campi gialli attraversati da mucche e cavalli.
Un anno fa la frenesia, la curiosità e il coraggio si alternavano incostantemente ad una voglia matta di tirarmi indietro.
Un anno fa la fantasia non aveva barriere, la mente vagava per chilometri tentando di raggiungere quella meta dopo tanto tempo diventata concreta, e l'ossessione, la sete di sapere qualche dettaglio aumentava giorno dopo giorno.


Un anno dopo sono seduta alla scrivania di un ufficio, fingendo di lavorare su protocolli e fatture, con la tentazione irresistibile di vivere tutto un'altra volta, tramite i miei racconti e pensieri scritti qui, i quali riaccendono, riportano alla vita i momenti più difficili della mia giovane vita.
Un anno dopo, ad ormai un mese dal mio ritorno e con la mente un po' più lontana dall'America, mi sento grata e fortunata per avere avuto un'opportunità così grande, per aver conosciuto non solo persone false ed ipocrite, ma anche una famiglia meravigliosa che si è presa cura di me prelevandomi da una situazione di evidente difficoltà.
Un anno dopo sono anche riconoscente alla mia prima famiglia per avermi insegnato il valore della gratitudine.
Un anno dopo, soltanto un anno dopo, posso dire di essere una persona molto più vicina a quell'ideale fantastico, ma tuttavia ancora molto indefinito, a cui ho sempre aspirato. Tutto grazie ad una chiamata ricevuta un anno fa.

domenica 3 luglio 2016

Perché NON scrivo.

Da esattamente due settimane vedo una pagina bianca davanti a me in attesa di essere colmata con parole. Tutto é pronto, tranne me. Ogni volta che penso di esserlo le parole indietreggiano, in gola, come quando piangi e qualcuno ti chiede il perché. Sembra che abbiano paura di uscire, queste parole. Ma la verità é che sono io a non voler ripensare alle mie ultime settimane in Texas, a quelle persone vuote ed infelici che onestamente non mi mancano, all'incommensurabile delusione che gli americani chiamano PROM, ed infine alla bassezza umana di alcuni eventi finali.
Non penso valga la pena sprecare 20 minuti di questa fantastica vita che ho ritrovato in Italia per soffermarmi su dettagli inutili, gente inutile, parole inutili.
Questo per ora è il mio posto, non ho bisogno di abiti sfarzosi e partite di football per vivere come si deve, ma di calore, affetto, cultura, bellezza, storia e sì, buon cibo. Probabilmente servirebbero riflessioni più profonde e accurate, non lo metto in dubbio. Purtroppo però ho capito quanto la scrittura sia per me un aiuto fondamentale nei momenti di difficoltà, e questo, signori e signore, non lo é, perché qui ho trovato me stessa felice. Qui, a casa.


martedì 10 maggio 2016

Perchè scrivo?

Non avrei mai immaginato che questo blog prendesse una piega così emotiva, parallela alla mia esperienza. Non che abbia rimpianti, non fraintendermi, ma aspettavo da me stessa un po' più di inerenza, soprattutto considerato il mio scopo iniziale di apparire come un punto di riferimento per futuri exchange affamati di risposte.

Mi ritrovo a meno di un mese dall'arrivo dei miei genitori a contare i restanti giorni, come facevo da piccola con i petali delle margherite un po' spoglie, tentando di incamerare quanti più ricordi possibili. Il mio terrore? L'oblio. Sono perseguitata dalla paura folle di ricordare solo momenti bui, solo quei pianti così innocui tamponati dalla federa di un cuscino, o tutte quelle volte che mi sono sentita così piccola comparata all'immensità del mondo. Temo di non portarmi a casa i grattacieli della mia Houston, così imponenti sul panorama piatto ed infinito, i quali hanno saputo togliermi il fiato sin da quel 21 agosto 2016, appena scesa da un aereo di insicurezze, dandomi il benvenuto. Mi hanno guardata dall'alto; devo essere sembrata fragile, nella mia camminata disorientata verso l'ignoto.
Come potrei dimenticarmi, poi, di quella momentanea libertà del percorrere una highway ai 170, con finestrini spalancati e capelli guidati all'impazzata da un vento irriverente che spazza via certezze, e incertezze? Ho paura che la mia mente giochi brutti scherzi, una volta a casa. Tutte le immagini di una vita così fulminea, irripetibilmente unica, sono forgiate in me, come bassorilievi, sperando di riuscire a resistere alla deteriorazione che il tempo porta. E' così potente, il tempo.

Per questo scrivo. Scarico i ricordi su un foglio, esattamente come fotografie trasportate dal rullino ad un album. Questo è il mio album. Il mio magazzino. La mia memoria.

Vale.


lunedì 18 aprile 2016

Poesia.

Pensando si va, lontano dal mondo.
Vivendo si va, contro se stessi.
Cantando il silenzio, grida impaurito.
Dormendo il silenzio, si illude smarrito.

La pioggia ticchetta, alle porte del sogno.
Il vento sibila, nell'orecchio del tempo.
La pace non gioca, mi pare cresciuta.
La guerra s'impara, per esser vissuta.

Bruciante cera, consuma impassibile.
Pungente rosa, vinci l'inverno.
Mancato respiro, guarisci ferite.
Forzato riposo, ignora salite.

Una folla sorda, ascolta la vita.
Una folla cieca, non trova l'uscita.



giovedì 14 aprile 2016

Literacy.

Is Literacy Relevant in Times of Tribulation, Suffering or Progress?

Just a couple of months ago, Umberto Eco, a significant semiotician, writer and philosopher passed away leaving us a legacy of words. He believed that literacy could donate immortality to readers who, at the age of 70, will have lived not only their own life, but also Dante Alighieri’s psychological journey throughout the afterlife, Romeo’s forbidden love for Juliet and George Orwell’s political protest. He deemed books as creatures to be preserved against the opposite force of oblivion, because they represent a storehouse for the memories of the world.


The term literacy comes from the Latin word littera, which simply means ‘letter from the alphabet’, although it stands for a much more extended concept; literacy could in fact be defined as the most potent and effective instrument that humanity had the fortuity to be blessed with. Liesel Meminger, in ‘The Book Thief’, grows up acknowledging the force contained in words during a tormented discovery of the cruel outside world. As a young girl living in Nazi Germany, Liesel finds herself a safe shelter in books that, at the same time, serve as a distraction from her personal struggles and increase her self-awareness of reality. Her acts of thievery symbolize the instinctive need for an escape from the oppressive system where she happened to live in, becoming an expression of her insatiable hunger of knowledge. Therefore, literacy plays a fundamental role in times of crisis or development because it provides an evasion from adversities, painting a completely new landscape in the reader’s point of view that may even bring social advantages; however, one might argue that reading is inherently a pointless and inconsequential action since it does not aim to anything but abstract enlightenment.

In questa prima parte del mio tema di fine semestre e` espresso tutto cio` che ho da dire. 
Enjoy.

-Vale 

giovedì 31 marzo 2016

Tempo.


Mentre la campagna si faceva sempre più sconfinata, i miei occhi cominciarono a scrutare quei dettagli impercettibili che ormai sono soliti riempire le mie giornate. Chiazze blu si alternavano ad un bruciante rosso fuoco e il verde dell'erba faceva capolino di tanto in tanto, come per prendere fiato, soffocato da nuvole di fiori invadenti. La velocità così perpetuamente regolare mi fece poco a poco perdere il senso del tempo, tanto che un viaggio durato 4 ore mi parve di nemmeno una ventina di minuti. 
Destinazione? Anni 70. 
E' sorprendente quanto alcuni luoghi non invecchino, soprattutto quando in contrasto abbiamo sotto gli occhi città che diventano metropoli, edifici che sembrano voler toccare il cielo e industrie che fanno a gara per chi usa il minor numero di manodopera, affidandosi sempre di più al progresso tecnologico. 
Esiste però un triangolo, nel più sperduto angolo del West Texas, i cui vertici sono rispettivamente i paesini di Uvaldi, Christal City e Currizzo Spring. 

ATTRAZIONE TURISTICA DA NON PERDERE: La Pryor, nonché misera aggregazione di case all'apparenza abbandonate con una scuola differentemente moderna e un paio di ranch confinanti con il nulla assoluto. E qui, ero diretta per festeggiare la Pasqua più sorprendente della mia vita.

Come da copione, mi trovai ad essere la pecora nera; la pesantezza di sguardi incuriositi dai miei capelli biondi e occhi azzurri si faceva sentire ad ogni angolo svoltato in macchina.
Le insegne scolorite nei negozi sembravano noncuranti del fatto che l'America è un paese anglofono, mostrando fiere scritte in spagnolo e quelli che originariamente dovevano essere giardini fungevano da provvisorio parcheggio per veicoli provenienti da un'epoca a me non chiara. 

Tutto questo suscitò in me una curiosa meraviglia, la quale non faceva che aumentare via dopo via, casa dopo casa, persona dopo persona. Invece che la scontata pena per la chiusura mentale della gente del posto, i mie sentimenti erano rivolti più al fascino nascosto di un epoca a cui non potrò mai appartenere ma che, ho avuto modo di confermare, non se n'è mai andata del tutto. 


Il tempo, un misterioso fattore che condiziona le nostre vite; non si ferma se richiesto, non va avanti se aspettato. 

mercoledì 9 marzo 2016

Inafferrabile.

Il suo corpo era rigido e freddo, vittima di un abuso che la vita, a volte, si permette di compiere proprio contro chi freme dalla voglia di vivere. Il diametro delle sue gambe pari a quello delle mie braccia, e le sue braccia.. in proporzione. Quelle labbra pallide e crespe si curvarono nel più debole dei sorrisi alle parole innocue di un bambino incapace di comprendere la gravità della situazione, ignaro dell'ingiusta ed immeritata atrocità che la realtà nasconde.

Una brezza leggera muoveva lo scacciapensieri ciondolante dalla finestra, producendo una melodia malinconica, quasi straziante. Nonostante la mia inquietudine, un minuscolo gatto dal colore delle nuvole era appisolato sotto la sedia a dondolo sulla quale il mio corpo era distrattamente appoggiato. Non potendo più tollerare quella sensazione di pesante turbamento, lasciai la stanza a passi indecisi, dirigendomi verso quella che suonava come una conversazione leggera e disinteressata. Con le orecchie finalmente libere da quel precedente suono angosciante, i miei occhi, adattandosi lentamente al cambiamento repentino di luminosità nell'ambiente, cominciarono a delimitare i contorni di un luogo completamente nuovo. Sagome di volatili neri, probabilmente dipinti da una mano inesperta, costellavano il soffitto togliendo l'intimità che una camera da letto dovrebbe sempre preservare. Un acuto squittio mi colse alla sprovvista inducendo il mio sguardo a vagare per la stanza cercandone la fonte. Una gabbia alla mia destra conteneva una manciata di roditori che, con smania e furore, tentavano impotenti di rosicchiare le sbarre arrugginite. Era troppo, per me. Chiusi gli occhi. Deglutii un boccone salato di lacrime in arrivo, ancora una volta, chiedendomi se davvero mi aspettavo che questa esperienza sarebbe stata solo una vacanza studio prolungata.



Quando vi dico che l'inglese è solo una scusa per partire, credetemi. Guarderete in faccia la vostra vita, sarete parte di quella di persone che mai rincontrerete di nuovo, e nel mio caso, passerete di fianco alla morte in persona, conoscendola ed esplorandone i misteri al punto che le domande vi esploderanno nella mente, volando via gradualmente solo quando vi accorgerete che non hanno una risposta.

giovedì 25 febbraio 2016

100.

Sono scomparsa, direte.
Mi ero ripromessa di aggiornare almeno una volta a settimana, ma guarda un po’? Sarà passato quasi un mese dall’ultima volta che ho scritto qualcosa. Potrei inventare l’inaffidabile scusa del ‘sono impegnata’ o ‘mi sto godendo la mia vita qui come si deve senza pensare all’Italia’; entrambe sono del tutto false. La verità? Per la prima volta nella mia vita sento di non poter verbalizzare il moto continuo nella mia testa. I pensieri nitidi sono pochi, quelli sfocati troppi, quelli a metà non si contano nemmeno. Eppure c’è quel numero, in primo piano, grande e pulsante che sembra essere il punto di origine, il principio. 100.
Cos’è 100?
E’ quella quantità ambigua che, a seconda dell’oggetto contato o della persona contante, può essere ritenuto piccolo o grande.
Sì, 100 sono i giorni che mi separano dal 2 giugno, data dell’arrivo dei miei genitori. Più lo guardo e più mi spaventa. Non so, è tanto; ma è allo stesso tempo è nulla comparato a tutto quello che ho dovuto affrontare da quando sono qui.
Non sono altro che poco più di tre mesi, come le vacanze estive di uno studente. Eppure ho sempre visto l’estate come un lunghissimo arco di tempo. Forse non è l’esempio esatto. Non in questo momento, non in questa giornata grigia e piena di insofferenza.
Ci sono davvero giorni in cui mi sveglio e la mia testa sembra volermi comunicare che è stanca di inglese. Ogni classe sembra interminabile e ogni frase un poema. Sì, oggi vorrei davvero poter parlare in italiano con chiunque.
Qualcuno ieri mi ha fatto una domanda molto interessante. ‘Vale, sei felice?’ Oggi la stessa persona mi ha fatto notare che una mia risposta non è mai arrivata. La realtà è che una risposta non la ho, e questo dato di fatto non fa che scoraggiarmi. Facile scapparsene con un ‘va a momenti’, la mia bipolarità è ben nota a tutti. No, questa volta aspettavo da me stessa una risposta vera, un postulato concreto da non poter variare a seconda del tempo atmosferico, ciclo mestruale o verifiche giornaliere.

A quanto pare ho deluso me stessa, ancora una volta. Ed è anche per questo che quel 100 mi assilla. Il tempo passa e la candela brucia dicono. Qui è la mia unica opportunità di trovare risposte e sento che questa opportunità si sta dissolvendo giorno, dopo giorno.

sabato 6 febbraio 2016

Timed writing.

Ed è quando l'insegnante pronuncia le parole 'timed writing' che per un attimo il petto sobbalza. Più comunemente chiamato tema, consiste nell'avere meno di 45 minuti per scrivere una sottospecie di saggio breve limitato da schemi preimposti dal distretto. Tutto ciò avviene una volta ogni due o tre settimane nella classe di inglese.
Ora analizziamo insieme la situazione: Circa un terzo del tempo che in Italia ci è concesso per scrivere un perlomeno decente tema in classe. Una lingua che, seppur migliorata, non sarà mai al livello del mio italiano. Un telefono obbligato ad essere consegnato all'inizio dell'ora. Nessun cavolo di mezzo per tradurre parole che potrei non sapere. Solo un dizionario della lingua inglese, una matita, un foglio bianco e le fonti da cui trarre 'evidence'.

Dopo vaghi tentativi di programmazione a casa, mi sono ovviamente ridotta ad arrivare lunedì in classe senza una minima ispirazione. Ebbene, cari ragazzi, ancora una volta la nostra tanto odiata e sottovalutata scuola italiana ha dato i suoi frutti. Il mio voto finale è stato più alto della maggioranza della classe. Ora, parlando ragionevolmente, come può essere possibile? La spiegazione mi è balzata all'occhio solo dopo qualche giorno. I ragazzi americani sono abituati a strutturare la frase sul modello terza elementare, vale a dire 'soggetto, verbo, complemento (per lo più oggetto diretto)'. Non usano arricchimenti, non stravolgono, a volte nemmeno usano la punteggiatura (si, in quello che qui è il terzo anno di superiori, stiamo studiando il punto e virgola). Dopo il mio sconvolgimento iniziale, ho ancora una volta tirato le somme con la conclusione che la nostra vecchia e antiquata scuola italiana, accademicamente parlando, vale il doppio di questo 'baraccone' americano.

Ecco a voi il mio 'essay' intitolato 'IDENTITY AND STEREOTYPES'.

"Gnothi seauton", know yourself. That is what was written on the pediment of the Apollo temple, in Delfi. For centuries people have tried to follow that specific advice falling, most of time, in the treaking arms of stereotypes' influence. Exterior and cursory judgments ended up by ruining, and sometimes shaping people's identity; in worst cases, others' opinions have literaly stolen lives. It is, in fact, important to figure out your life on your own terms despite what society belives you must become, because otherwise, you'll be traped and forever taged like someone else; there is no worse thing than becoming "another one in the omogeneus group", deprived of personality and opinions.

Stereotypes make you feel traped, like a bird with wounded wings. Even positive stereotypes limit and condition our daily lives. For instance, Haily Yook, an Asian American student wrote that 'this positive prejudice is just as threatening to my identity'. What she means is that even though positive stereotypes are not meant to be offensive, they always end up being hurtful. In particular, she feels constantly under pressure because a person who "is supposed to be better" never gets merit of actions, is just expected to be better. Some people, though, have the strenght to ignore prejudices: Zora Hurtson, an African Amerian woman, compares herself to 'a bag of miscellany propped against the wall' in her essay 'How it feels to be colored'. She teaches us that it's impossible to guess what is hidden inside just watching the exterior. That's the huge trap: too many people stop at the appareance and start judging without evidence.

Therefore, someone might argue that is easier to get used to 'tags' since it requires no effort and it's a faster way to be accepted in the society. If you do so, you'd become just another piece of someone else's game and you'd loose once again your own identity shaping your existace in conformity of meaningless prejudices. How could a person avoid that? Alice Walker said that 'It seems impossible that desire can sometimes trasform into devotion'. Nothing will be wasted if you work hard to grow your own life. It's not anybody else's choise, YOU get to decide who you want to be. That is exactly what Janie understands after only 16 years in the book 'Their eyes were watching God'. She spends her childhood surrounded by a close-minded world from which she wants to escape. So, when her grandma says 'you're not a child anymore', she grabs her life and breaks the walls that have traped her ever since.

Finally speaking, we can't let society build our identity because, if it did, we'd be dead even before we start to live; only knowing ourselves we can establish our personality and move away from being stucked in society's judgements.

martedì 19 gennaio 2016

Vita.

Quanto può essere devastante quel senso di inferiorità ed impotenza di fronte alla vastità dell'orizzonte visibile dal finestrino di una macchina, che veloce avanza impercettibilmente su una strada di cui non si vede la fine. I miei occhi vagano in cerca di un segno di vita: scorgo una casa scolorita le cui tegole, mosse dalla brezza invernale, pendono dal tetto come foglie in procinto di cadere. Una chiesa, rigorosamente battista, fa capolino dietro ad un albero seguita da un'altra, e un'altra, e un'altra ancora. Ma dove sono le persone? Mi chiedo. L'impaziente istinto di costruire e distruggere che l'uomo ha sviluppato negli ultimi due millenni sembra non aver minimamente alterato questa parte di mondo. E allora perchè non abbandonarsi al pensiero, perchè non lasciare che la mente, lo strumento più complesso che la natura abbia mai creato, mi conduca dove le pare più opportuno? Chiudo gli occhi. Sono cosciente, ma in quel limbo tra sonno e veglia che spesso confonde realtà e sogno.

Il mio vestito bianco e la mia acconciatura fine sono appesantiti dalle lacrime che rigano le mie guance rosee e paffute. Un motorino arriva, tanta gente è intorno a me, una croce, Gesù, 'ali d'aquila'. Una mano calda intorno alla mia, vengo sollevata e qualcuno mi porta via.

Il parco oggi pare essere deserto. L'altalena, fredda, cigola sul mio peso quasi impercettibile mentre due braccia salde mi spingono, su e giù. Qualcuno urla, corre verso di noi. 'andate a casa, accendete la tv' dice la donna ansimante. Deve essere successo qualcosa di brutto, assumo. A casa, una torre crolla, un'altra è in fiamme. Tutti piangono. Non voglio più guardare la tv. Scappo.

Limoni. Tanti limoni. Li voglio raggiungere tutti. I miei piedi non toccano più terra, una risata dietro di me. 'ora ci arrivi', una voce calma dall'accento ligure mi culla.

La creta mi sfugge dalle mani. Allo stesso modo, mi sfugge anche la domanda che qualcuno mi ha appena posto. Canto. 'Come si chiama di nome Jovanotti?' questa volta ce l'ho, ho la risposta. Con certezza ripeto due volte 'Celentano'. Tutti ridono. Probabilmente sono buffa.

Una voce dolce sta intonando le note di 'Stella Cometa', ma io non prendo sonno. Domani è il mio primo giorno di scuola. Non sono pronta. Non voglio andare. Il letto sotto di me sembra non aderire al mio corpo, gelido, quasi bagnato. Aspetta, è bagnato.

Il campanello suona. Due uomini vestiti molto strani sollevano il corpo quasi pietrificato di mia madre. Le ordinano di respirare dentro un sacchetto. Non è un palloncino, penso,che cosa stupida. mi sorridono, io faccio loro vedere il mio criceto. Sono così orgogliosa del mio criceto.

Adoro la domenica. La mamma balla con il papà, io me ne vergogno. Adoro la domenica.

Le sette candeline bruciano consumando la cera, che, mio malgrado, cade rovinando la  bellissima torta. Tutti cantano. La mia faccia si oscura in quell'espressione che tutti compatiscono. Odio i compleanni. In particolare il mio.

Una noce di cocco più piccola delle altre giace sotto una palma all'ombra. Mi sembra infelice. Perchè non accudirla?

La palla blu sotto braccio. La pedana è davvero grande. Sento il mio nome, avanzo. Un urlo dagli spalti attira la mia attenzione. Lo riconosco. Non ho paura.

Qualcuno sta parlando. Sono motivazioni, giustificazioni, scuse. Ho deciso di non ascoltare. Il mondo sotto i miei piedi, crollato poco fa, ha creato un burrone in cui preferirei lasciarmi scivolare. NO. Devo essere forte, devo aggrapparmi a qualunque cosa. Per loro. Li amo, lo farò sempre.

Guardo la mia immagine, riflessa da quell'oggetto tanto temuto. Cambio. Lo sfondo cambia. Le persone al mio fianco anche. Famiglia, amici, compagni, conoscenti, Walt. Se prima tutto era così lento e scandito, ora il tornado soffia mescolando i ricordi. Sorrisi, pianti, decisioni, scelte.


Mi sveglio di colpo. Le luci della viva Houston accecano i miei occhi ancora intorpiditi dalla sicurezza del buio. Siamo quasi a casa. Non la casa di San Bartolomeo, nè quella di San Prospero. La mia casa di Katy. Perchè qui la mia vita mi ha portato. Qui la mia vita mi si ripresenta infinite volte al giorno, chiedendomi di guardare indietro per costruire un avanti.

Solo raccogliendone tutti i pezzi potrò aggiungerne dei nuovi, e così forse potrò collegare le domande senza risposta e cambiare le risposte non inerenti alle mie domande.